La sentenza, la giustizia e l’etica

Il capolavoro “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie” di Pisarro non sarà restituito alla famiglia di Lilly Cassier Neubauer.

Si conclude – per ora – un’altra fase dell’intricato caso giudiziario promosso da Claude Cassier oltre vent’anni fa per ottenere la restituzione del quadro di Pisarro “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie” proprietà del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid dal 1996.

Questi i fatti in breve: è certo che il dipinto conteso appartenesse a Lilly Cassier, la cui famiglia sin dalla fine dell’800 gestiva la galleria d’arte in Viktoriastrasse n. 35 a Berlino.

Nel 1939 Lilly Cassier per salvarsi dalle persecuzioni cedette il Pisarro ai nazisti per la cifra irrisoria di 300 DM, dopo di che la proprietaria non ebbe più alcuna notizia del quadro, nonostante le continue ricerche.

Soltanto nel 2005 il nipote Claude Cassier, in modo del tutto casuale, riconobbe capolavoro “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie” esposto nel Museo Thyssen-Bornemisza: immediatamente ne chiese la restituzione, avviando un complesso contezioso giudiziario che portò alla pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti nell’aprile  2022.

Con una sentenza all’unanimità, la Corte accolse l’ultima impugnazione proposta dalla famiglia Cassier e rinviò il giudizio alla Corte d’Appello della California, affinché decidesse se applicare al caso la legge californiana oppure quella spagnola.

La decisione della Corte d’Appello di Pasadena è di questi giorni: i giudici con una decisione unanime hanno ritenuto applicabile al caso la legge spagnola e, pur affermando che il dipinto fu sottratto illegittimamente a Lilly Cassier dai nazisti, hanno riconosciuto in capo Museo Thyssen-Bornemisza la proprietà del capolavoro, in virtù di un acquisto in buona fede e di un possesso protrattosi senza alcuna interruzione per il tempo stabilito dalla legge ai fini dell’acquisto del diritto dominicale a titolo originario.

Per gli eredi Cassier Neubauer è stato un duro colpo, poiché negli ordinamenti anglosassoni vale il principio “nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet“, secondo cui nessuno può trasferire diritti maggiori di quanti ne abbia egli stesso, quindi, mai si può trasferire la proprietà di un bene appartenente ad altri.

Negli ordinamenti di civil law, come l’Italia o la Spagna, vige un principio diverso per i beni mobili, per i quali vale la regola del “possesso vale titolo” sancita dall’art. 1153 C.c.

Questa norma introdotta dal legislatore italiano per garantire la certezza nella circolazione dei beni mobili consente all’acquirente di diventare proprietario a titolo originario del bene qualora vi sia un contratto astrattamente idoneo, il possesso della cosa inteso come disponibilità effettiva del bene e la buona fede soggettiva dell’acquirente.

Interessante è il presupposto della buona fede soggettiva regolata dall’art. 1147 C.c.: secondo questa norma, è possessore in buona fede chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto. Trattasi di una condizione psicologica che deve sussistere al momento dell’acquisto del possesso, per cui il soggetto deve essere convinto di poter esercitare sul bene un potere corrispondente al diritto di proprietà, o altro diritto reale, senza ledere la sfera giuridica altrui, mentre è del tutto irrilevante che tale convinzione successivamente venga meno (Conf. Cass. Sent. n. 8918/1991 e n. 3097/1988).

Alla luce di questi principi, la vendita con consegna di un bene mobile – come potrebbe essere un’opera d’arte – a un soggetto in buona fede comporta che questi ne divenga il legittimo proprietario quand’anche la cosa sia di provenienza illecita o comunque non di proprietà del venditore.

In siffatte ipotesi, il vero proprietario mai potrà rivendicare il bene mobile dal legittimo nuovo proprietario, potendo rivolgersi soltanto al venditore per ottenere un risarcimento del danno, considerando, altresì, che la buona fede è sempre presunta pur potendo essere vinta da prova contraria anche attraverso indizi gravi, precisi e concordanti (Conf. Cass. 11285/1992 e 13920/1991).

Soltanto l’ignoranza gravemente colposa di ledere l’altrui diritto escluderà gli effetti dell’art. 1153 C.c. e quindi l’acquisto del bene: ma come si misura la colpa grave?

In linea di principio, la colpa grave è connotata di un’importante mancanza della dovuta diligenza da parte del soggetto acquirente: trattasi, quindi, di imprudenza, imperizia e/o negligenza; in altri termini, il compratore deve adoperarsi al fine di verificare l’inesistenza di elementi tali da indurlo a dubitare della legittima provenienza del bene o della titolarità della cosa in capo al dante causa.

Spostando tutto questo nell’ambito delle opere d’arte, l’acquirente accorto valuterà le prove e i documenti che attestino la proprietà del bene in capo al venditore e la provenienza dell’opera d’arte risalendo indietro nelle cessioni possibilmente sino all’artista. L’operazione può essere complessa, ma deve essere eseguita con accortezza e attenzione, eventualmente rivolgendosi a esperti del settore.

È pacifico che la soglia della diligenza imposta al soggetto esperto o professionista, in quanto collezionista o mercante d’arte, sia più alta e più specifica rispetto a quella richiesta al semplice consumatore.

Tornado al caso del Pisarro sottratto: vi sono molteplici elementi che depongono per una Due Diligence approssimativa sotto il profilo della provenienza dell’opera d’arte al momento dell’acquisto da parte di soggetti molto esperti. Infatti, nel corso di uno dei diversi gradi di giudizio di questo intricato caso è emerso che il Barone Hans Heinric Thyssen-Bornemisza, grande collezionista, nel 1976 all’atto dell’acquisto del bene dalla Hahn Gallery di New York, avrebbe dovuto essere più accorto e consultare gli esperti del settore che certamente conosceva, data la peculiarità e l’importanza del dipinto.

Salotto di casa Cassier

Invece, le numerose “Red Flags”, o elementi indiziari, circa una dubbia provenienza furono del tutto ignorati. In particolare, sarebbe bastato prestare attenzione alle etichette parzialmente rimosse dal retro del quadro dove ancora si leggeva “Vikto” e “Berlin”, corrispondenti a Viktoriastrasse e Berlino, oltre “Kunst und Ve” attribuibili a “Kunst und Verlagsantal”, ovvero la Galleri di Bruno e Paul Cassier.

Retro di quadri

Oltre a questi indizi, non si sarebbe dovuto tralasciare che il quadro era sparito in concomitanza con le razzie naziste e che la reclamante era l’erede di una famiglia ebrea.

Nella realtà, pare che né la Hahn Gallery né il Barone Thyssen-Bornemisza all’atto dell’acquisto abbiamo prestato la dovuta attenzione ai particolari descritti, nonostante la prima fosse un soggetto professionista, mentre l’altro un collezionista molto esperto.

La Corte d’Appello americana nella sentenza del 10 gennaio 2024 ha riconosciuto che il dipinto conteso era di proprietà della famiglia Cassier ma, decidendo di applicare il diritto privato spagnolo, ha ritenuto che l’acquisto da parte del Museo madrileno avvenne in buona fede, mancando la prova del contrario.

Corte d’Appello di Pasadena

In ogni caso, erano anche trascorsi i tre anni previsti dalla legge per il perfezionarsi dell’usucapione abbreviata senza che nel frattempo fosse intervenuta alcuna interruzione del possesso, la quale può determinarsi soltanto in caso di apertura di un giudizio contenzioso.

Il Museo Thyssen-Bornemisza è, quindi, il proprietario del dipinto, tuttavia, non possono essere dimenticati i principi della convenzione di Washington del 1998, nonché quelli della Convenzione del 2009 firmata da quarantanove Stati compresa la Spagna, in virtù dei quali il dovere di restituzione della “Looted Art” (arte razziata) è un obbligo etico e morale.

Giudice Consuelo Callahan

Al riguardo la Giudice Consuelo Callahan ha scritto che “il governo spagnolo avrebbe dovuto “cedere volontariamente” il dipinto alla famiglia in base a un accordo internazionale sulla restituzione delle opere d’arte saccheggiate dai nazisti che la Spagna e dozzine di altri paesi hanno firmato nel 2009”.

Vedremo se gli accordi etici e quel vento di riparazione e restituzione che oggi pare soffiare un po’ più intensamente porterà a una soluzione giusta ed equa per entrambe le parti, così da chiudere questo lungo contenzioso anche sotto il profilo morale.

Per approfondire:

 

Dialoghi senza tempo

Il ritrovamento di un tesoro sommerso è una porta del tempo: ci permette di passare tra due mondi quello passato e il presente.

Una spada risalente a circa 900 anni fa è stata ritrovata nelle acque israeliane della costa di Carmel, al largo della città di Haifa: la baia dove il reperto è stato rinvenuto è nota per restituirci testimonianze di un passato lontano, avendo offerto per secoli riparo e un approdo sicuro alle navi dell’antichità.

Secondo gli esperti l’arma è appartenuta un guerriero crociato, avventuratosi in una delle numerose guerre di religione iniziate nel 1095, grazie alle quali i Cristiani europei, supportati dalla Chiesa, intendevano liberare i luoghi santi.

Spada sommersa

L’arma ritrovata è in condizioni perfette: il mare l’ha impreziosita con i suoi organismi, regalandole il fascino della memoria.

La spada del Crociato evoca la suggestione del ritrovamento del tesoro sommerso che ha ispirato l’arte contemporanea dell’inglese Damien Hisrt attualmente in mostra a Villa Borghese nell’evento “Archeology now”.

Archeology Now, Damien Hirst, Villa Borghese, Roma

Archeology Now, Damien Hirst, Villa Borghese, Roma

Nelle sale della Villa che fu del Cardinale Scipione si svolge un dialogo senza tempo tra la Bellezza perfetta e virtuosa del Bernini e quella che vuole essere specchio della contemporaneità, con le sue contraddizioni in bilico tra realtà e fantasia.

Anche la spada ritornataci dal mare potrebbe essere un pezzo del “Treasures from the Wreck of the Unbelievable”, il tesoro ripescato di Hirst, connotato da un controcanto sempre fiabesco dai tratti dissacranti, originali e di forte impatto visivo.

Cerberus, Damien Hirst, Galleria Borghese, Roma

Cerberus, Damien Hirst, Galleria Borghese, Roma

Nota giuridica. se mai vi capitasse di imbattervi in un reperto archeologico, ricordate che:

  • Dovete denunciare il ritrovamento del bene archeologico entro ventiquattro ore al Soprintendente, o al Sindaco, ovvero all’Autorità di pubblica sicurezza.
  • Provvedete alla conservazione temporanea dei reperti rinvenuti, lasciandoli nelle condizioni e nel luogo di rinvenimento. Se si tratta di beni mobili dei quali non se ne possa assicurare la custodia sul posto della scoperta, lo scopritore ha la facoltà di rimuoverli per meglio garantirne la sicurezza e la conservazione sino all’arrivo dell’autorità competente e, ove occorra, può richiedere l’ausilio della forza pubblica.
  • Tenete presente che ai sensi dell’all’art. 92 del “Nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” è previsto un premio per il ritrovamento fortuito sia allo scopritore, sia al proprietario dell’immobile dove è avvenuto il ritrovamento, sia al concessionario dell’attività di ricerca autorizzata dal Ministero della Cultura. Il premio può essere corrisposto in denaro o mediante rilascio di parte delle cose ritrovate e sarà determinato in base alle stime ufficiali effettuate dal Ministero.

    Spada del Crociato

     

     

Per approfondire:

Per approfondire: http://www.carabinieri.it/cittadino/consigli/beni-interesse-culturale/beni-d’interesse-culturale

PROMESSA D’ARTISTA

Il recente romanzo “L’Amante di Rembrandt”, scritto da Simone Van Der Vlugt, narra la storia vera di Geertje Dircx, giovane amante del Maestro Rembrandt Van Rijn, riabilitandone, semmai fosse possibile con un libro, la figura dopo quasi quattrocento anni.

L’interessante ricostruzione storica dell’autrice rievoca il complesso caso giudiziario che ebbe come protagonista la giovane Geertje Dircx, assunta come bambinaia presso la casa dell’artista poco prima della morte di sua moglie Saskia.

Saskia in veste di Flora, Rembrandt, National Gallery, Londra

Saskia in veste di Flora, Rembrandt, National Gallery, Londra 

Dopo il lutto, tra la ragazza e il Maestro nacque una storia d’amore, coronata dal dono dei preziosi gioielli appartenuti alla defunta moglie dell’artista. Considerato il valore dei monili, Rembrandt indusse la compagna a sottoscrivere un testamento in virtù del quale alla sua morte i gioielli sarebbero stati ereditati da Titus il figlio dell’artista.

Titus allo scrittoio, Rembrandt, Museum Boymans Van Beunigen

Titus allo scrittoio, Rembrandt, Museum Boymans Van Beunigen

La liaison durò qualche anno e, nonostante la fama e il prestigio del maestro ad Amsterdam, la convivenza della coppia fu sempre mal tollerata dalla società; la relazione si concluse con il più classico dei cliché: Rembrandt, dopo essersi perdutamente innamorato di Hendrickje Stoffels, giovane cameriera neoassunta, mise rapidamente Geertje alla porta.

La donna senza più un alloggio né un lavoro, dopo un primo attimo di sbandamento connotato dalla poco felice idea di alloggiare in una locanda dove altre ospiti esercitavano il mestiere più antico del mondo, decise di far valere i propri diritti.

Infatti, se è vero che oggi in Italia la convivenza di fatto garantisce ben poche tutele agli ex innamorati, nell’Olanda del ‘600, la situazione era un po’ diversa: fu così che Geertje Dircx avviò con il Maestro una vera e propria negoziazione diretta a ottenere una somma a titolo di mantenimento, sulla base dell’esistenza di una “promessa di matrimonio” infranta.

Autoritratto, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

Autoritratto, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

All’esito di rapide trattative sembrò che le parti fossero pronte ad addivenire a un accordo, secondo cui Rembrandt avrebbe versato all’ex compagna una somma mensile di 160,00 fiorini, ma Geertje si rifiutò di firmare, ritenendo la somma offerta troppo esigua e del tutto insufficiente a garantirle il sostentamento necessario in caso di malattia.

La ragazza trascinò, quindi, Rembrandt in Tribunale: all’epoca la legge olandese prevedeva che, nei casi di promessa matrimoniale non mantenuta, potesse essere imposta la celebrazione del matrimonio, oppure fosse riconosciuto il diritto alla corresponsione di una somma di denaro, o di una rendita.

Nonostante la ferma resistenza del pittore, Geertje vide ampiamente accolta la propria domanda: i giudici ritennero i fatti pacificamente dimostrati dal dono dei gioielli di Saskia, per cui condannarono Rembrandt al pagamento di un mantenimento a favore dell’ex compagna, oltre al versamento di una somma di 200 fiorini con i quali Geertje avrebbe dovuto riscattare un paio di bracciali precedentemente impegnati per procurarsi del denaro per il proprio sostentamento. La sentenza prevedeva, altresì, che alla morte della donna i gioielli sarebbero stati destinati al figlio di Rembrandt, per cui le era fatto divieto di venderli o darli in pegno.

I Sindaci dei Drappieri, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

I Sindaci dei Drappieri, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

Poco tempo dopo la pronuncia del Tribunale, Geertje – pare su insistenza del fratello – diede i gioielli in garanzia: venuto a conoscenza della circostanza, Rembrandt, noto per il carattere iroso e vendicativo, si adoperò in ogni modo per far condannare l’ex compagna a una pena esemplare.

La denuncia ebbe a oggetto non soltanto la violazione del disposto della sentenza, ma soprattutto l’accusa del reato ben più grave di prostituzione. Come prova di quanto asserito, Rembrandt si procurò dei testimoni che confermarono soltanto la permanenza per qualche tempo di Geertje Dircx presso una locanda nota per i facili costumi delle frequentatrici, nessun altro indizio circa la condotta delittuosa emerse dal processo.

Nonostante l’inconsistenza probatoria circa l’accusa di meretricio, Geertje fu condannata a dodici anni di reclusione. Ogni ricorso, petizione per mitigare la severità della sanzione  furono sempre ostinatamente rifiutati, anche per le continue pressioni di Rembrandt rivolte ai notabili del paese: l’artista era determinato a far scontare l’intera pena all’ex compagna. Soltanto dopo cinque anni, ormai seriamente malata, Geertje riuscì a ottenere la grazia a seguito del ricorso presentato da un’amica.

Ritratto di Hendrickje Steffels, Rembrandt

Se possibile, la sorte di Hendrickie Stoffels fu ancor peggiore di quella riservata a Geertje: neppure l’ex cameriera riuscì a farsi sposare da Rembrandt, dal quale tuttavia ebbe una figlia e per tale ragione fu deferita alla Corte ecclesiastica con l’accusa di concubinaggio.

La figura e la storia di Geertje Dircx sono state oscurate per secoli: la donna che quattrocento anni addietro agì per tutelare i propri diritti, fu sbrigativamente apostrofata come un’approfittatrice scaltra e priva di scrupoli, ferma nell’estorcere denaro e ricchezze al Maestro.

Soltanto dopo il 1960 l’intento di proteggere l’immagine di un’icona nazionale come Rembrandt ha evidenziato le prime incrinature: da allora gli studiosi grazie agli archivi storici hanno ricostruito questa complessa vicenda, che pare si sia conclusa con una condanna del Maestro al risarcimento dei danni procurati a Geertje per ingiusta detenzione.

Ai giorni nostri non sarebbe pensabile l’imposizione di un obbligo a sposarsi, poiché il consenso liberamente espresso dai nubendi è elemento costitutivo per il perfezionamento del vincolo coniugale.

Il Bacio, Hayez, Pinacoteca di Brera

Il Bacio, Hayez, Pinacoteca di Brera

L’art 79 C.c. specifica che la promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo, né a eseguire quanto si fosse eventualmente convenuto in caso di inadempimento: quindi, l’esistenza di una relazione amorosa, quand’anche connotata da una convivenza pluriennale e dalla presenza di figli, non è idonea a far sorgere un obbligo a sposarsi.

Esiste, tuttavia, la promessa di matrimonio, ovvero il cosiddetto fidanzamento ufficiale, inteso quale impegno della coppia rappresentato ai familiari e amici di volersi frequentare per addivenire responsabilmente alla celebrazione dello sposalizio. In questo caso, la rottura del fidanzamento può determinare l’obbligo alla restituzione dei doni fatti dal promittente a causa della promessa di matrimonio; il termine per proporre questa azione è particolarmente breve: appena un anno dal giorno in cui il richiedente ha ricevuto la notizia della rottura del fidanzamento.

Sposalizio della Vergine, Raffaello, Pinacoteca di Brera

Sposalizio della Vergine, Raffaello, Pinacoteca di Brera

Qualora la promessa di matrimonio sia effettuata dai nubendi con atto pubblico o scrittura privata autenticata, oppure risultante dalla richiesta delle pubblicazioni, il promittente che, senza giustificato motivo rompe il fidanzamento, oppure il nubendo che per sua colpa giustifica il rifiuto di sposarsi dell’altro, sarà tenuto al risarcimento del danno, limitatamente alle spese sostenute e alle obbligazioni contratte in ragione della promessa matrimoniale. Anche in questo caso l’azione si prescrive nel breve termine di un anno dal rifiuto. (Vedasi art. 81 C.c.)

Una storia d’amore intessuta senza un fidanzamento ufficiale, oppure al di fuori delle ipotesi dell’art. 81 C.c., non determinerà il sorgere di diritti di alcun genere, né conseguenze giuridiche di qualsivoglia natura, in quanto essa sorge, si svolge e si conclude con i connotati di una permanente e illimitata libertà reciproca ed è soltanto questa che acquista rilevanza nel mondo del Diritto, mentre ogni altra implicazione rimane affidata all’aspetto dei doveri morali, etici e sociali.

Amore e Psiche, Canova, Musée du Louvre, Parigi, dettaglio

Amore e Psiche, Canova, Musée du Louvre, Parigi, dettaglio

 

 

 

 

Per approfondire:

Per approfondire:

“L’amante di Rembrandt Storia di un amore proibito”, di Simone Van Der Vlugt, Piemme 2021

“Rembrandt” di Philippe Daverio, Corriere della Sera

Corte di Cassazione sentenza n. 7064 del 29/11/1986

Corte di Cassazione sentenza n. 3015 del 2/5/1983

Corte di Cassazione sentenza n. 539 del 21/2/1966

PASSIONE, MORTE E RESURREZIONE

Suplicium ultimum seu capitale: ultimo supplizio, la pena di morte.

Secondo il diritto romano la pena di morte poteva essere comminata con diverse modalità, ma quella che nel tempo si perfezionò ed ebbe estesa applicazione fu la morte in croce, castigo supremo per la sua manifesta violenza e crudeltà; fu strumento per i romani di  sottomissione dei popoli conquistati, in ragione del potere deterrente e dissuasivo di questa atroce pratica,  applicata a chi si opponeva al dominio delle forze della Città Eterna.

Le cronache storiche raccontano di drammatici episodi nei quali vennero giustiziate migliaia di persone contemporaneamente, come accadde nel corso della rivolta degli schiavi guidati da Spartaco tra il 73 e il 71 a. C.: in questo lasso di tempo i romani condannarono alla croce oltre seimila compagni dello schiavo ribelle, domando così una delle più forti ribellioni di cui si abbia memoria.

Rivolta degli schiavi, Fyodor Andreyevich Bronnikov

L’effetto afflittivo della sanzione iniziava ben prima della crocifissione, preceduta da una lunga serie di torture: la morte del crocefisso poteva giungere dopo una terribile agonia di molte ore se non giorni e spesso il corpo rimaneva esposto come monito per la collettività.

Cristo Crocefisso, Diego Velàsquez, Museo del Prado

Cristo Crocefisso, Diego Velàsquez, Museo del Prado

La crocifissione non fu l’unica pena capitale di particolare crudeltà, ma riveste un grande significato storico religioso, in quanto comminata al Re dei Giudei: la sua condanna è quanto di più profondo l’umanità abbia mai conosciuto. Cristo porta nel corpo crocifisso e nell’anima tutto il peso del male. Secondo il cristianesimo, la passione e la morte di Gesù sono la vendetta di Dio: Egli stesso, nella persona del Figlio, trasforma il male del mondo in amore sofferente atto a salvare l’umanità.

La Resurrezione, Piero della Francesca, Museo Civico, San Sepolcro

Per approfondire:

42 Giorni di Miguel Lorente, Ed. Nord, 2009

Missa pro eligendo romano pontefice: omelia del Cardinale Joseph Ratzinger, decano del Collegio Cardinalizio, lunedì 18 aprile 2005

Il Futuro e la Prudenza

“Ex praeterito praesens prudenter agit ni futura actione deturpet”: dal passato, il presente agisce con prudenza per non guastare l’azione futura.

L’Allegoria della Prudenza (1560-1565) è una delle opere più suggestive di Tiziano Vecellio ed è conservata presso la National Gallery di Londra. E’ un dipinto molto particolare, tanto da essere stato oggetto di studio approfondito da parte dello storico dell’arte Erwin Panofsky: pur essendo intitolato come “allegoria”, ossia la rappresentazione di una massima filosofica tramite un’immagine visiva, potrebbe essere definito “emblematico”, quasi vi fossero rappresentati dei “simboli” dei quali si deve indovinare l’oscuro significato per comprendere appieno il quadro. Un’allegoria pura, sempre della stessa mano del Vecellio, è invece l’Amor Sacro e Amor Profano.

Amor Sacro e Amor Profano, Tiziano, Galleria Borghese, Roma

Amor Sacro e Amor Profano, Tiziano, Galleria Borghese, Roma

Un indizio interpretativo è dato dal motto latino visibile nella parte alta “Ex praeterito praesens prudenter agit ni futura actione deturpet”, che fa riferimento al concetto di “tempo”, inteso come passato, presente e futuro, aprendo la via alla comprensione del messaggio sotteso.

Il dipinto si osserva da sinistra verso destra: il vecchio a sinistra è il ritratto di Tiziano, ormai alla fine della propria gloriosa carriera, il quale rappresenta il tempo passato: ciò che è stato è illuminato da una luce fioca, la figura ha contorni poco chiari, parrebbe quasi un “non finito”; il ritratto centrale è quello del figlio Orazio: all’epoca era un uomo maturo, nel pieno degli anni, e qui è il volto del tempo presente, mentre il giovane in piena luce a destra con il viso illuminato è il nipote Marco, il futuro della famiglia.

I tre volti simboleggiano le tre età della vita, ma anche le fasi del tempo che sostengono il concetto di “Prudenza”, la quale ha un significato diverso da quello odierno e che può essere così espresso “ricordare il passato, ordinare il presente, contemplare il futuro”.  L’esperienza di ciò che è stato deve aiutare l’intelligenza del tempo presente a operare senza nuocere al futuro.

La Prudenza, Scuola del Rossellino

La Prudenza, Scuola del Rossellino

Sotto i ritratti ci sono tre teste animali, un lupo, un leone e un cane, il loro significato è molto complesso in quanto – ancora una volta – legato al concetto dell’inesorabilità del trascorrere del tempo; il tricefalo è una figura che gli studiosi fanno risalire a tempi antichissimi, fino alle religioni egizie.

Il Tricefalo di Serapide

Il Tricefalo di Serapide

Se da un lato il dipinto apre a riflessioni legate all’esperienza maturata in vita, dall’altro evidenzia una visione attuale del passaggio del patrimonio e della memoria alle generazioni future.

Gli storici insegnano che Vecellio non fu solo un grande artista, ma anche un notevole imprenditore, pertanto curava e teneva in grande considerazione la necessità di regolare il cosiddetto “passaggio generazionale” dell’impresa: l’opera in esame è l’esatta espressione di questo pensiero, teso a garantire la continuità di ciò che l’artista ha realizzato in vita, sia per non disperdere la sua memoria, sia per preservare l’aspetto economico della propria fiorente bottega.

Secondo lo storico Panofsky, non è azzardato supporre che con la sua Allegoria della Prudenza, Tiziano volesse ricordare determinate disposizioni legali e patrimoniali, cosicché il figlio non dimenticasse l’importanza di una gestione intelligente degli affari, per consentire all’attività di proseguire nel futuro con il giovane nipote.

Flora, Tiziano Vecellio, Galleria degli Uffizi, Firenze

Flora, Tiziano Vecellio, Galleria degli Uffizi, Firenze

Sotto il profilo del diritto la successione ereditaria è argomento molto delicato, ma estremamente interessante: l’ordinamento, infatti, riconosce alla persona la facoltà di disporre tramite un testamento delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

Il testamento è un atto personalissimo, in quanto può essere reso soltanto dall’interessato, è revocabile in ogni tempo e per avere validità è sufficiente che sia “olografo”, ovvero scritto, datato e sottoscritto di pugno dal testatore, non sono richieste altre formalità particolari, né lessicali, purché la volontà sia comprensibile.

Tralasciando le specifiche in tema di quote ereditarie e dei cosiddetti legati, per semplicità si può affermare che con il testamento è possibile nominare i propri eredi, stabilire quanto e/o quali beni lasciare loro.

Ci sono tuttavia dei limiti ben precisi, rappresentati dalle quote riservate ex lege ai legittimari, ovvero gli ascendenti, i discendenti e il coniuge. Le cosiddette “quote di legittima” sono indisponibili per il testatore. Questo significa che in presenza di uno e più legittimari, la quota realmente libera che il testatore può destinare a qualsiasi soggetto e/o ente può variare tra una metà, un terzo o un quarto del patrimonio a seconda dei casi. Per esempio, nel caso in cui ci sia il coniuge e un figlio: un terzo del patrimonio sarà riservato al coniuge, un terzo al figlio, mentre il rimanente costituirà la quota disponibile che potrà essere lasciata a favore di chiunque il testatore desideri.

Nel caso in cui all’apertura della successione non vi sia alcun testamento, è la legge a regolare la delazione, intesa come offerta dell’eredità ai chiamati a succedere in qualità di eredi, i quali a loro volta saranno liberi di accettarla o rifiutarla.

Una nota a parte merita la delicata questione del passaggio generazionale nell’impresa, che nel 2006 ha portato il Legislatore a introdurre il “Patto di famiglia” un interessante tipologia di contratto che l’imprenditore stipula in vita, finalizzato a garantire la continuità dell’impresa con gli eredi più capaci e competenti, così da evitarne la disgregazione tra una pluralità di soggetti, purtroppo a volte privi della benché minima capacità imprenditoriale, rischiando di porre in serio pericolo la sopravvivenza dell’impresa stessa.

La visione di Tiziano e il significato della sua Allegoria sono sempre attuali: il concetto di Prudenza nel senso inteso dall’artista meriterebbe di essere riscoperto per un presente intelligente a protezione del futuro comune.

La Festa degli Amorini, Tiziano, Museo del Prado

La Festa degli Amorini, Tiziano, Museo del Prado

Per approfondire:

Per approfondire: “Il significato delle arti visive” di E. Panofsky, Piccola Biblioteca Einaudi ed. 2010

“Diritto Civile – Le successioni” di Massimo Cesare Bianca, Ed. Giuffrè, V edizione

Immagine di copertina: L’Allegoria della Prudenza, di Tiziano Vecellio, National Gallery, Londra

Volli, fortissimamente volli

La coscienza e volontà di un evento dannoso rappresentano il cuore del delitto.

Nel diritto penale il dolo è l’elemento più suggestivo e intrigante del crimine, rappresenta la diretta espressione della volontà della persona di compiere il reato. Si compone di due  elementi: il primo detto “rappresentazione”, la quale deve essere intesa come la visione da parte del reo del fatto penalmente rilevante; in questa fase, il soggetto  consapevolmente costruisce nella sua mente il crimine: valuta i presupposti, gli strumenti, i mezzi, il luogo e le caratteristiche della vittima. Il secondo presupposto  è la “risoluzione”, ossia la volontà della condotta rivolta all’effettiva realizzazione dell’evento dannoso.

Il dipinto raffigura il ladro di nidi di bruegel

Il ladro di nidi di Pieter Bruegel

Prendiamo a esempio il furto: il dolo si comporrà di una prima fase, nella quale il ladro individuerà il bene da rubare, valuterà le varie circostanze del caso, le abitudini della vittima, gli eventuali sistemi d’allarme, l’orario dell’azione e, quindi, passerà all’aspetto volitivo, decidendo di agire secondo le modalità ideate.

L'immagine raffigura il dipinto il ladro di Botero

Il Ladro di Fernando Botero

Il dolo, inteso quale elemento soggettivo del reato, nei delitti è la regola, mentre quelli colposi sono sempre tipicamente previsti dalla legge. Secondo il disposto dell’art. 43 C.p. l’evento di danno, rappresentato dalla lesione del bene protetto dall’ordinamento – si pensi alla vita, all’integrità fisica, o alla proprietà, solo per citarne alcuni – deve essere previsto e voluto dal soggetto agente come conseguenza della propria azione od omissione.

Il dolo non è unico nel suo genere: esso si manifesta con caratteri e intensità diversi, i quali sono particolarmente rilevanti sia sotto il profilo della valutazione della  pericolosità del reo, sia per quanto attiene alla quantificazione della sanzione penale.

Il dolo è diretto o intenzionale quando l’evento è voluto dal reo per la realizzazione del proposito delittuoso: la morte di Cesare era il risultato pensato e voluto dai congiurati.

L'immagine raffigura la morte di Cesare di Camuccini

La morte di Cesare di Vincenzo Camuccini

Il dolo è eventuale quando il soggetto è consapevole della possibilità che l’evento lesivo si verifichi e ne accetta consapevolmente il rischio: è il caso del soggetto che sa di essere affetto da patologia contagiosa e intrattiene rapporti a rischio con altri, accettando la possibilità di un probabile contagio.

L'immagine raffigura gli Amanti di Magritte

Gli Amanti di Magritte

Con riferimento all’intensità il dolo può essere d’impeto: pensiamo all’ira folle. Il caso più eclatante risale alla notte dei tempi con il fratricidio consumato da Caino invidioso  del rapporto di devozione di Abele nei confronti di Dio.

L'immagine raffigura Caino e Abele di Tiziano

Caino e Abele di Tiziano

Ai fini di un giudizio sulla pericolosità del reo, ma al di fuori della tematica del dolo, si colloca la premeditazione, prevista come aggravante speciale di taluni delitti: è caratterizza da un progetto delittuoso dettagliatamente studiato, il quale permane nella mente del soggetto per un certo intervallo di tempo, che ne rafforza sensibilmente il proposito criminoso.

E’ il caso di Giuditta, la quale riccamente abbigliata decise di uccidere Oloferne per liberare il suo popolo dall’assedio: si recò, quindi, nel suo accampamento, facendo credere al re assiro di sottomettersi al suo volere, ma Oloferne, dopo le abbondanti libagioni, cadde in sonno profondo: lei sfoderò la spada e diede attuazione al suo piano delittuoso, che completò portando con sé la testa del despota riposta all’interno di una cesta.

L'immagine raffigura il dipinto Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi

Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi

Ancora diverso è il movente, inteso come il motivo per cui il reo ha commesso il crimine: generalmente è irrilevante ai fini dell’illiceità del fatto, la quale non muta in virtù delle ragioni che per esempio hanno spinto il soggetto a provocare lesioni gravissime o la morte della sua vittima.

L'immagine raffigura il Cristo Morto di Andrea Mantegna

Il Cristo Morto di Andrea Mantegna

Soltanto in taluni casi i motivi hanno importanza e assurgono a elemento costitutivo del reato; in tali crimini la norma prevede che il fine della condotta sia parte integrante della fattispecie, è il caso del dolo specifico. La truffa è il tipico reato a dolo specifico, in quanto il soggetto pone consapevolmente in essere una serie di raggiri e artifizi per indurre in errore la vittima al fine di procurare a sé, o ad altri, un ingiusto profitto: questo quid in più – rappresentato  dall’ingiusto profitto – rispetto alla normale consapevolezza e volontà dell’evento lesivo  attribuisce rilevanza alle ragioni e finalità della condotta delittuosa.

L'immagine raffigura i Giocatori di carte di Rombouts

I Giocatori di carte di Theodore Rombouts

 

Per approfondire:

Per approfondire: Luigi Delpino, Diritto Penale Parte Generale, ed. Giuriche Simone 2000

VENEZIA SPLENDERA’ ANCORA

E’ particolarmente dura per Venezia: nell’inverno appena trascorso è stata travolta da un’eccezionale ondata di acqua alta che ha provocato danni a non finire, ora l’epidemia di Covid 19 con il suo carico luttuoso e i devastanti risvolti economici.

Il nostro mondo è ostaggio del nuovo corona virus-19, ma un pensiero speciale è riservato alla Città nata sull’acqua, splendida, unica e fragile come nessun’altra, connotata da una peculiare forza che le consentirà ancora una volta di risollevarsi: è sufficiente che ripensi alla propria Storia.

Le devastanti epidemie di peste che dilagarono nell’Europa trecentesca decimarono la popolazione: dalle stime di Papa Clemente V pare che il batterio dell’Yersina Pestis uccise circa 23.840.000 persone. Gli Stati di allora erano impotenti di fronte alla malattia di cui non potevano conoscere sia le cause, sia le cure, essendo la scienza medica non ancora in grado di rispondere.

La peste a Venezia (San Rocco risana gli appestati, Tintoretto)

Già intorno alla metà del 1300 Venezia intraprese una via innovativa per arginare i contagi, nominando un Consiglio di tre Provveditori incaricati di isolare  navi, persone e beni infetti, confinandoli in un’isola disabitata della laguna; inoltre, murarono le case dei contagiati e chiusero intere zone della città, inibite per mesi all’accesso da parte dei cittadini.

A fronte di tali restrizioni, il Maggior Consiglio, ben consapevole che l’economia veneziana si reggeva sul commercio, avviò una serie di forti manovre economiche per rilanciare l’economia, compreso un robusto pacchetto di sgravi fiscali.

Le pestilenze si ripresentavano con cadenza regolare e Venezia fu pronta a intervenire con misure sempre più restrittive, imponendo severe norme igieniche e sanitarie: i Provveditori vigilavano sulla pulizia delle case, vietavano la vendita di alimentari pericolosi, chiudevano Chiese, luoghi pubblici e si evitavano gli  assembramenti.

Divieto di assembramenti (Ricevimento ambasciatore di Francia, Canaletto)

I contagiati venivano ricoverati nel Lazzaretto Vecchio, mentre chi era stato a contatto con i malati era trattenuto per venti giorni in altre strutture appositamente allestite; le navi che entravano in laguna dovevano rispettare un periodo di quarantena alla fonda prima di poter accedere alla città.

Chiese chiuse (Il Battesimo, Pietro Longhi)

Come sempre Venezia, dimostrava di precorrere i tempi e la modernità: per la prima volta si assisteva a un tentativo di medicina preventiva attraverso misure sociali.

Per garantire il rispetto delle normative in materia sanitaria, la Serenissima era piuttosto drastica: pare che in una nave fosse stata issata una forca per far giustiziare i trasgressori e chi ospitava persone contagiate veniva condannato alla reclusione e al pagamento di una multa.

Limitare la libertà di circolazione (Riva degli Schiavoni, Canaletto)

Sono passati più di seicento anni, ma lo spirito della Serenissima non è molto cambiato: la Regione Veneto nella gestione l’emergenza Covid 19 ha reagito con tempestività e rapidità,  usufruendo di tutte le risorse a sua disposizione; in pochi giorni sono stati convertiti interi ospedali in Covid Hospital, unità complesse dedicate alla cura dei pazienti affetti da SARS-CoV-2 (la sindrome respiratoria acuta che identifica appunto la Coronavirus disease – 19), è stato predisposto l’allestimento di centinaia di nuove postazioni di terapia intensiva e sub intensiva, oltre a sottoporre sanitari e popolazione a migliaia di tamponi per verificare la presenza della malattia, individuando i “portatori sani”, i quali ospitano il corona virus senza alcuna sintomatologia rappresentando la principale sorgente di contagio.

Il tampone (Il Cavadenti, Pietro Longhi)

Anche il Governo ha emesso una serie di provvedimenti restrittivi, i quali spaziano dalla limitazione della  libertà di circolazione dei cittadini, alla chiusura di tutti i servizi e  attività imprenditoriali non ritenuti essenziali. I cittadini sono di fatto obbligati a rimanere a casa, potendo uscire soltanto per comprovate esigenze di lavoro o per necessità ed è  vietato qualsiasi tipo di assembramento, oltre a essere sollecitate ripetute pratiche igieniche come il lavaggio delle mani.

Restate a casa (Prospettive Canaletto)

I giuristi si sono subito interrogati sulla legittimità di tali provvedimenti, così fortemente limitanti le libertà costituzionalmente garantite: le norme di riferimento sono gli artt. 16 e 17 della Costituzione, rispettivamente riferiti alla libertà di circolazione e di riunione. L’art. 16 espressamente consente limitazioni in via generale della libera circolazione per “motivi di sanità e sicurezza”: non è dubitabile che l’attuale situazione di pandemia  giustifichi l’adozione di provvedimenti restrittivi per motivi di salute pubblica e sicurezza  al fine di limitare il contagio.

Mantenete la distanza di sicurezza (La Tempesta, Giorgione)

Sono ravvisabili anche i presupposti di necessità e urgenza in ragione dei quali il Governo ha emanato il Decreto Legge del 23 febbraio 2020 n. 6 convertito in legge n. 13 del 5 marzo 2020: per capire il profilo giuridico, è necessario richiamare l’art. 77 della Costituzione, in tema di decretazione d’urgenza. La norma consente al Governo in casi straordinari – connotati appunti dallo stato di necessità e dall’urgenza – di emanare provvedimenti aventi forza di legge ordinaria, i quali rimangono in vigore soltanto se convertiti in legge dal Parlamento entro sessata giorni dalla loro pubblicazione. In mancanza, il decreto decade e rimane privo di effetti.

Il decreto del 23 febbraio 2020 n. 6 ha definito la cornice giuridica delle norme in tema di Emergenza Covid 19, atteso che  i successivi provvedimenti sono stati emanati nella forma del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) o dei singoli Ministri, mentre è in fase di conversione il D. L. del 25 marzo 2020 n. 19.

Ristoranti chiusi (Le Nozze di Cana, Veronese)

Secondo un’interessante riflessione del Prof. Azzariti Ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università La Sapienza di Roma, i DPCM non possono essere considerati atti contrari alla Costituzione, poiché emanati in un’evidente e comprovata situazione di stato di necessità e finalizzati alla tutela del diritto alla salute dei cittadini (garantito dall’art. 32 Cost.), tuttavia, deve essere ben chiaro il limite temporale delle restrizioni delle libertà personali: scaduto tale limite i diritti inviolabili compressi tornano nella loro piena integrità.

E’ auspicio condiviso da tutti la rapida e definitiva soluzione di questa emergenza, la quale porterà inevitabilmente pesantissimi risvolti economici, che dovranno essere fronteggiati  con misure severe a sostegno di tutti, compresi i professionisti, troppo spesso esclusi in ragione di radicati preconcetti di “casta” connotata da floride situazioni patrimoniali: purtroppo, è noto come tali convinzioni siano da tempo molto distanti dalla realtà.

Uniti ce la faremo e, quando sarà finita, Venezia merita un omaggio, una visita magari con sosta alla meravigliosa Basilica dedicata alla Madonna della Salute voluta dal Doge Nicolò Contarini nel 1630, quale tributo per la liberazione della città dall’ennesima pestilenza: sarà un’occasione  per riscoprire la bellezza dell’indomita Serenissima pronta a risollevarsi e risplendere ancora una volta.

Santa Maria della Salute

Per approfondire:

Andrew Nikiforuk “Il Quarto Cavaliere” Ed. Oscar Storia Mondadori 2008

Prof. Gaetano Azzariti “I limiti costituzionali della situazione d’emergenza provocata dal Covid 19” 27 marzo 2020 in Questione Giustizia

La peste a Venezia da www.vogavenetamestre.it

Livio Paladin “Diritto Costituzionale” Cedam 1991

Tutte le immagini sono opere di artisti veneziani, l’immagine di copertina è Il Leone di San Marco di Vittore Carpaccio

 

IL MILLENARIO GIURAMENTO DI IPPOCRATE

“Descrivere il passato, comprendere il presente, prevedere il futuro”: anamnesi, diagnosi e prognosi, questa è l’essenza dell’arte medica, secondo Ippocrate, il primo vero precursore della medicina moderna.

Vissuto tra il 460 e il 370 a. C. nella città di Atene e nella regione della Tessaglia, secondo i contemporanei Platone e Aristotele, Ippocrate fu il medico più famoso della sua epoca: egli introdusse una visione moderna della medicina, basata sull’osservazione dei fenomeni patologici, associata alla loro interpretazione, con contestuale ricerca della causa della malattia. Con Ippocrate per la prima volta venne abbracciata una concezione unitaria dell’organismo, secondo cui  le cui patologie non erano conseguenza del volere degli Dei, bensì alterazioni dell’equilibrio generale del corpo umano.

Busto di Ippocrate

Busto di Ippocrate

Tra i numerosi studi di Ippocrate, si ricorda quello sul “Male Sacro”, oggi noto come epilessia: egli giunse alla conclusione che gli episodi comiziali fossero la manifestazione di un malattia dovuta a cause naturali che nulla aveva a che fare con gli abitanti dell’Olimpo.

Nel IV secolo a. C. la scienza medica, soprattutto quella ippocratica,  fu  ordinata per la prima volta in una raccolta scritta il “Corpus Hippocraticum”: custodito nella Biblioteca di Alessandria,  il Corpus comprendeva tutto il sapere medico dell’epoca; ebbe rilevanti conseguenze culturali nella diffusione della pratica medica di allora che da quel momento fu connotata da maggior rigore scientifico rispetto a quando era uso tramandare la medicina oralmente “di padre in figlio”.

Incisione Biblioteca di Alessandria

Incisione Biblioteca di Alessandria

La leggenda narra che Ippocrate pretendesse dai suoi allievi la pronuncia davanti al Dio della Medicina, di un solenne un giuramento con il quale si impegnavano a rispettare i maestri, a insegnare la medicina solo a chi avesse pronunciato lo stesso giuramento e senza ricompensa, a visitare i malati e a prescrivere le cure con l’unico scopo di guarirli; non avrebbero potuto prescrivere farmaci mortali o abortivi. Inoltre, per la prima volta fu introdotto il concetto di segreto professionale, atteso che il medico era tenuto alla riservatezza per tutte notizie apprese nell’esercizio dell’arte.

Giuramento di Ippocrate

Giuramento di Ippocrate

Ancora oggi i giovani medici prestano quel giuramento: non è più quello di Ippocrate, ma non se ne discosta molto per certi principi.

La figura del medico oggi, in questo tempo di emergenza, è – giustamente –destinataria della gratitudine di tutti noi per l’impegno profuso nella gestione dell’epocale pandemia.

Ma consentite una riflessione: una volta superata questa la difficilissima situazione, si auspica che tutti coloro i quali oggi si prodigano in calorosi applausi, tributi di stima e riconoscenza verso i medici, si ricordino, qualora si dovessero rivolgere  al legale di turno per aprire un contezioso in materia di responsabilità sanitaria, spesso adombrato da ipotesi meramente risarcitorie, di ciò che è stato fatto per l’intera comunità al fine di combattere e debellare la malattia.

Rimane, ovviamente, ferma la censura e il diritto al risarcimento del danno per l’inesatta esecuzione dell’atto medico, ma non si può tacere che le norme che regolano la responsabilità sanitaria sono quanto di più lontano possa esserci rispetto al Diritto Perfetto.

Infatti, per anni si è imposto al medico l’onere di dimostrare l’esatta esecuzione della prestazione, partendo da una presunzione di colpevolezza del suo operato, ogni qualvolta non fosse stato raggiunto il risultato terapeutico sperato. La difesa del medico è stata gravata di una difficoltà difensiva, talvolta insuperabile ed è stata spesso disconosciuta l’esistenza di  complicanze post intervento prevedibili ma non prevenibili. Si è agito più come rivendicazione di un vero e proprio diritto di guarigione, che per tutelare il diritto cura e, quindi, di essere destinatari di prestazioni sanitarie da eseguirsi con la massima diligenza prevista in ragione della professionalità del medico.

Questa situazione ha contribuito allo sviluppo di quelle pratiche sanitarie eccessive e ridondanti della medicina difensiva, che il sanitario pone in essere quando sottopone il paziente a ogni tipo di esame  – anche se non strettamente necessario – pur di autotutelarsi contro eventuali contestazioni.

Ne è conseguito un costo esorbitante e insostenibile per l’intero SSN, circa 12 miliardi di euro l’anno, il tutto a discapito della qualità e quantità delle risorse disponibili: la cultura della medicina basata sulle evidenze e della gestione del rischio clinico da sole basterebbero ad annullare questa dinamica e tutelare il sacrosanto rapporto tra medico e paziente, che già Ippocrate aveva consegnato all’eternità.

Per non parlare poi del costi assicurativi privati lievitati a cifre di decine di migliaia di euro per una polizza a garanzia della responsabilità professionale: la comune doglianza circa la scarsità del numero dei chirurghi dipende tra l’altro dal fatto che la categoria è esposta a ogni tipo di azione legale, sia in sede civile che penale, per cui molti scelgono una strada professionale diversa, forse meno eroica ma più tranquilla.

Studi anatomici e Uomo Vitruviano di Leonardo

Studi anatomici e Uomo Vitruviano di Leonardo

La Legge Gelli Bianco entrata in vigore il 1° aprile 2017 ha leggermente migliorato una situazione ormai insostenibile, introducendo un cambiamento culturale che ancora fatica a prendere piede, atteso che come sostenuto dall’On. Federico Gelli, promotore della citata normativa, è necessario: “Aumentare le tutele per chi esercita la professione sanitaria prevedendo, al contempo, nuovi meccanismi a garanzia per i cittadini e arrivare ad un nuovo equilibrio nel rapporto medico-paziente. In questa maniera i professionisti possono svolgere il loro lavoro con maggiore serenità e ai cittadini viene garantita la sicurezza delle cure, maggiore trasparenza e la possibilità di essere risarciti in tempi brevi e certi per gli eventuali danni subiti».

Rispettiamo il lavoro dei medici, rendiamoci conto che svolgono una professione tra le più  difficili e complesse e che – come oggi – non esitano a mettere a rischio la loro stessa salute per prestarci le cure migliori.

Caduceo

Caduceo

 

Per approfondire:

Legge n. 24 dell’8 marzo 2017 n. 24, detta Legge Gelli Bianco 

C’eravamo tanto amati

Lo scioglimento del matrimonio, pur risalendo ai tempi antichi, è stato osteggiato per secoli in ragione della sacralità del vincolo tra gli sposi: per risolvere questa convivenza forzata, la storia racconta del frequente ricorso ai rimedi più drastici.

Nella Roma Repubblicana era permesso il divorzio: i coniugi potevano sciogliere il vincolo matrimoniale di comune accordo, oppure si poteva procedere per volere di uno dei due e per le ragioni più diverse, compreso l’essersi innamorati di un’altra persona.

Con il Cristianesimo le cose cambiarono drasticamente e il matrimonio divenne un legame sacro (e come tale indissolubile) salvo la possibilità di annullamento da parte dell’Autorità ecclesiastica.

Quest’ultima soluzione era difficilmente praticabile, richiedendo motivazioni specifiche e limitate; tuttavia, nonostante le stringenti norme del diritto canonico, non mancarono forzature giuridiche per le più svariate ragioni, da quelle politiche agli equilibri di forza tra il richiedente e la Chiesa.

Lucrezia Borgia

Lucrezia Borgia

Papa Borgia escogitò due motivi di divorzio per la figlia Lucrezia (sic): per il primo matrimonio, il coniuge Giovanni Sforza fu accusato d’impotenza. Inizialmente indignato fu costretto a incassare il colpo, non accettando di sottoporsi a un’umiliante verifica pubblica sulla sua virilità;  il secondo marito, Alfonso d’Aragona, amatissimo da Lucrezia, ebbe meno fortuna in quanto, per risolvere in fretta la questione della separazione, Cesare Borgia optò per un rimedio definitivo e organizzò l’assassinio del cognato. Lucrezia trovò pace soltanto quando sposò Alfonso d’Este e si trasferì nella città di Ferrara.

La sterilità vera o presunta, di norma ascritta alla moglie, era il motivo più utilizzato per divorziare: Margherita di Valois, la quale da anni viveva separata dal marito  Enrico di Navarra, fu accusata di non essere stata in grado di dargli un figlio; prima di cedere alle pressioni della Chiesa, che mirava a far salire Maria de’ Medici sul trono, con un’abilità  da far invidia alle negoziazioni moderne, dopo sei anni di trattative ottenne una ricca liquidazione e la garanzia di un tenore di vita adeguato: dopo di che nulla oppose all’annullamento del matrimonio.

Margherita di Valois

Margherita di Valois

Anche Enrico VIII fu famoso per la creatività con cui si liberava delle mogli di cui rapidamente si stancava e pur di ottenere  dal Papa l’annullamento del matrimonio con Caterina d’Aragona ruppe con la Chiesa sancendo così la scissione anglicana. Indifferente alla scomunica papale, nel 1533 sposò Anna Bolena dalla quale divorziò poco dopo con le accuse più infamanti, per poi condannarla a morte mediante decapitazione.

Enrico VIII e le sue mogli

Enrico VIII e le sue mogli

Nella lunga storia delle crisi matrimoniali il principio “finché morte non ci separi” è stato frequentemente preso alla lettera; tra i rimedi più in uso vi erano gli avvelenamenti: famosissimo fu il caso di Giulia Tofana e della sua acqua (https://www.ildirittoperfetto.it/giulia-lacqua-e-il-concorso-nel-delitto-quasi-perfetto/ ), poche gocce al giorno e in due settimane il “divorzio” era perfezionato.

Il diritto perfetto: la storia di Giulia Tofana

Soltanto con la Rivoluzione francese per un breve periodo venne introdotto lo scioglimento del matrimonio, anche per la semplice incompatibilità di carattere, ma tali norme ebbero vita breve e con la Restaurazione furono abrogate.

In Italia si dovettero attendere gli anni ’70 per l’approvazione della legge n. 898 del 1° dicembre 1970, che disciplina lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio. La differenza tra le due locuzioni attiene al fatto che lo scioglimento riguarda i matrimoni contratti solo con rito civile, mentre la cessazione degli effetti civili è riferita ai matrimoni concordatari, ovvero quelli celebrati in Chiesa da un ministro di culto cattolico ai quali lo Stato riconosce effetti civili.

La Legge sul divorzio è stata severamente osteggiata, sino a essere portata al vaglio del popolo italiano, il quale con la maggioranza del 59% scelse di mantenere la normativa che oggi viene riconosciuta come un caposaldo del diritto alla libertà e all’autodeterminazione delle persone.

Prima di arrivare allo scioglimento vero e proprio del matrimonio si deve tuttavia passare per un periodo di separazione dei coniugi, nel quale il vincolo coniugale persiste ma è attenuato; la ratio della separazione è quella di concedere ai coniugi un periodo di riflessione prima di procedere con lo scioglimento definitivo della famiglia. Sino al 2015 tale periodo era di tre anni, ma con l’introduzione delle norme sul divorzio breve è stato ridotto a sei mesi (legge 6 maggio 2015 n. 107).

Tralasciando gli aspetti della gestione delle vertenze in tema di diritto di famiglia e del modo migliore per affrontarle di cui si tratterà in altra occasione, la regolamentazione degli aspetti patrimoniali domina la scena del conflitto.

Fino al 2017 la Giurisprudenza era pressoché granitica e garantiva al coniuge economicamente più debole un assegno divorzile parametrato sul mantenimento di un tenore di vita analogo a quello avuto nel corso del matrimonio: questa soluzione  ha portato spesso alla creazione di vere e proprie rendite vita natural durante.

Corte di Cassazione

Corte di Cassazione, Roma

Con la nota sentenza 11504/2017 la Corte di Cassazione ha decisamente  cambiato rotta, recependo un radicato mutamento culturale  e sociale: gli Ermellini hanno evidenziato che il divorzio scioglie e recide qualsiasi legame intercorso tra i coniugi, permanendo soltanto un dovere solidaristico assistenziale nel caso in cui uno dei due non disponga di  adeguati mezzi di sostentamento o si trovasse nell’impossibilità oggettiva di procurarseli.

Ne è conseguito un taglio netto a tutte le domande di assegno divorzile, atteso che, abbandonato drasticamente il parametro del tenore di vita, il mantenimento sarebbe spettato soltanto in casi di mancanza di  mezzi di sostentamento: il vulnus che si è venuto a creare è stato determinato dalla mancanza di un altro e diverso parametro rispetto al quale fare riferimento per la quantificazione di tale assegno  e di conseguenza per un periodo le decisioni dei Tribunali sono state le più disparate.

Nel 2018 le Sezioni Unite della Cassazione sono intervenute rapidamente per calmierare la rigidità del nuovo principio introdotto dalla citata sentenza.

Le SS. UU. hanno ribadito l’abbandono dell’anacronistico parametro del tenore di vita, ma hanno anche sancito il diritto a un assegno divorzile a favore del coniuge economicamente più debole, quando nel corso del matrimonio egli abbia sacrificato le proprie ambizioni e aspirazioni lavorative per dedicarsi alla cura della famiglia e dei figli, consentendo all’altro coniuge di svolgere liberamente la propria attività e di formare il suo patrimonio o quello comune.

L’altra ragione per riconoscere un assegno di mantenimento ha natura prettamente assistenziale ed è ravvisabile qualora il coniuge più debole non disponga di mezzi propri di sostentamento o non sia oggettivamente in grado di procurarseli per ragioni di età, fisiche o altro, come nei casi in cui uno dei due sia ultracinquantenne e da tempo fuori dal mercato del lavoro e sia sprovvisto di un proprio patrimonio da mettere a frutto.

L'immagina raffigura un particolare della Toga dei Giudici della Corte di Cassazione

Particolare della Toga dei Giudici della Corte di Cassazione

La sentenza del 11504/2017 con il suo effetto dirompente nel mondo del diritto di famiglia ha recepito un cambiamento del sentire sociale, pienamente confermato anche dalle Sezioni Unite, alle quali va riconosciuto il merito di aver comunque ribadito la sopravvivenza, in talune circostanze, degli effetti di solidarietà e riequilibrio delle condizioni patrimoniali dei coniugi in ragione di quel legame familiare e  d’amore che nonostante tutto c’è stato.

"Separzione" di Edvard Munch, The Oslo Museum, 1896

“Separzione” di Edvard Munch, The Oslo Museum, 1896

 

Per approfondire:

Per approfondire:

Corte di Cassazione sentenza del 10 maggio 2017 n. 11504

SS. UU. Corte di Cassazione sentenza datata 11 luglio 2018 n. 18287

Il rosso: passione, potere e giustizia

“Red is a very emotionally intense color. It enhances human metabolism, increases respiration rate, and raises blood pressure. It has very high visibility, which why stops signs, stoplights and fire equipment are usually painted red.” (The Game Feat. Kendrik Lamar)

Il rosso è il Colore per antonomasia: simbolo d’amore, potere e passione, ma anche di pericolo, delitto e peccato. È il colore dell’opulenza e della festa, del Natale e della laurea, ma sottende anche un retaggio di violenza, ira e  sangue.

Il rosso ha trovato spazio nella storia sin dall’antichità: si racconta della terribile gelosia di Marte scatenata dall’amore di Afrodite per il bellissimo Adone. Per punire l’affronto il Dio della Guerra fece in modo di ferire a morte il giovane. Nel soccorrerlo la Dea si punse il piede con le spine di una rosa bianca: le gocce del suo sangue tinsero di rosso le rose, mentre dal sangue di Adone nacquero gli anemoni.

Anemoni, Monet

Secondo una versione diversa, dalle lacrime di Venere per la perdita dell’amato nacquero le fragole, da sempre considerate il frutto dell’amore per il colore, la forma  a cuore e la dolcezza del sapore; forse per questo Otello donò a Desdemona un fazzoletto con delle fragole ricamate e il Re Sole le abbinava alla panna ritenendole afrodisiache.

Natura morta, Fragole, Gianluca Corona

Il rosso è anche simbolo del potere: nella Roma imperiale era riservato all’Imperatore e ai condottieri; nel Medioevo era simbolo di distinzione sociale, in quanto la preparazione era molto costosa: il rosso più bello e luminoso, detto “Chermes” si ricavava dalla femmina di un insetto il “Coccus ilicis”, diffusa in Estremo Oriente, molto difficile da reperire; per questo era riservato ai Signori dell’epoca e simboleggiava il lusso per eccellenza.

In alcune città i tintori dovevano avere una licenza particolare per il rosso e a Venezia quelli che tingevano con il rosso meno pregiato ricavato dalle radici della robbia non potevano utilizzare il rosso “Chermes”.

Tra il XIII e il XIV secolo anche il Papa optò per il rosso, abbandonando parzialmente il bianco: Raffello nel 1511 nel celebre dipinto della “Barba del Papa” ritrasse un ormai anziano Papa Giulio II, mentre nel 1518 fu il turno di Leone X.

Giulio II, Raffaello, Galleria Palatina

Papa Leone X, Raffaello, Galleria degli Uffizi

Entrambi indossano il “Camauro”, il copricapo rosso foderato internamente di ermellino, tipico del Papa e destinato alle udienze private a differenza della  papalina che può essere di vari colori a seconda del grado gerarchico ed è utilizzata durante le cerimonie; anche la “Mozzetta” è rossa, pur cambiando colore e bordatura nel corso dell’anno liturgico, durante il periodo pasquale può essere damascata bianca.

Papa Ratzinger con moffetta periodo pasquale

Papa Ratzinger

Di rosso vestono  i Cardinali, Principi della Chiesa, perché sono pronti a versare il loro sangue per Cristo, mentre le calzature rosse dei Papi simboleggiano che la Cristianità si fonda sul sangue dei martiri.

Il rosso diventò il colore dei “Papisti”, inviso ai Protestanti che ancora oggi lo ritengono un colore immorale.

Nelle occasioni solenni, come l’inaugurazione dell’anno giudiziario, il Primo Presidente e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione indossano la toga di velluto rosso bordata di ermellino, con il  copricapo  di velluto nero anch’esso bordato di ermellino e guanti bianchi, mentre la toga degli altri magistrati delle Corti superiori è anch’essa rossa ma senza bordature. 

Il colore rosso e la bordatura pregiata affondano le loro radici nei simboli del potere dei regnanti, mentre oggi indicano la dignità e i gradi più elevati nella gerarchia della Magistratura.

Nello svolgimento dell’ordinaria attività processuale penale e di fronte alle Sezione Specializzate Agrarie, magistrati e gli avvocati indossano la toga nera con cordoniera d’oro per i magistrati e gli avvocati abilitati al patrocinio nelle Corti Superiori, d’argento per gli altri avvocati

Indossare la toga è sempre un onore: essa rappresenta l’altissima funzione a cui sono chiamati avvocati e magistrati nell’esercizio delle loro funzioni  e come scriveva Calamandrei “La toga, uguale per tutti, riduce chi la indossa ad essere, a difesa del diritto un avvocato: come chi siede al banco è un giudice, senz’aggiunta di nomi o titoli”.

 

 

 

 

 

Per approfondire:

Elogio dei Giudici scritto da un Avvocato”di Pietro Calamandrei, Ed. Ponte alle  Grazie

Le Garzantine Mitologia: “I miti greco-romani raccontati da Pierre Grimal” Garzanti

“Il piccolo libro dei colori” Dominique Simonetta Ed. Ponte alle Grazie