PASSIONE, MORTE E RESURREZIONE

Suplicium ultimum seu capitale: ultimo supplizio, la pena di morte.

Secondo il diritto romano la pena di morte poteva essere comminata con diverse modalità, ma quella che nel tempo si perfezionò ed ebbe estesa applicazione fu la morte in croce, castigo supremo per la sua manifesta violenza e crudeltà; fu strumento per i romani di  sottomissione dei popoli conquistati, in ragione del potere deterrente e dissuasivo di questa atroce pratica,  applicata a chi si opponeva al dominio delle forze della Città Eterna.

Le cronache storiche raccontano di drammatici episodi nei quali vennero giustiziate migliaia di persone contemporaneamente, come accadde nel corso della rivolta degli schiavi guidati da Spartaco tra il 73 e il 71 a. C.: in questo lasso di tempo i romani condannarono alla croce oltre seimila compagni dello schiavo ribelle, domando così una delle più forti ribellioni di cui si abbia memoria.

Rivolta degli schiavi, Fyodor Andreyevich Bronnikov

L’effetto afflittivo della sanzione iniziava ben prima della crocifissione, preceduta da una lunga serie di torture: la morte del crocefisso poteva giungere dopo una terribile agonia di molte ore se non giorni e spesso il corpo rimaneva esposto come monito per la collettività.

Cristo Crocefisso, Diego Velàsquez, Museo del Prado

Cristo Crocefisso, Diego Velàsquez, Museo del Prado

La crocifissione non fu l’unica pena capitale di particolare crudeltà, ma riveste un grande significato storico religioso, in quanto comminata al Re dei Giudei: la sua condanna è quanto di più profondo l’umanità abbia mai conosciuto. Cristo porta nel corpo crocifisso e nell’anima tutto il peso del male. Secondo il cristianesimo, la passione e la morte di Gesù sono la vendetta di Dio: Egli stesso, nella persona del Figlio, trasforma il male del mondo in amore sofferente atto a salvare l’umanità.

La Resurrezione, Piero della Francesca, Museo Civico, San Sepolcro

Per approfondire:

42 Giorni di Miguel Lorente, Ed. Nord, 2009

Missa pro eligendo romano pontefice: omelia del Cardinale Joseph Ratzinger, decano del Collegio Cardinalizio, lunedì 18 aprile 2005

Il rosso: passione, potere e giustizia

“Red is a very emotionally intense color. It enhances human metabolism, increases respiration rate, and raises blood pressure. It has very high visibility, which why stops signs, stoplights and fire equipment are usually painted red.” (The Game Feat. Kendrik Lamar)

Il rosso è il Colore per antonomasia: simbolo d’amore, potere e passione, ma anche di pericolo, delitto e peccato. È il colore dell’opulenza e della festa, del Natale e della laurea, ma sottende anche un retaggio di violenza, ira e  sangue.

Il rosso ha trovato spazio nella storia sin dall’antichità: si racconta della terribile gelosia di Marte scatenata dall’amore di Afrodite per il bellissimo Adone. Per punire l’affronto il Dio della Guerra fece in modo di ferire a morte il giovane. Nel soccorrerlo la Dea si punse il piede con le spine di una rosa bianca: le gocce del suo sangue tinsero di rosso le rose, mentre dal sangue di Adone nacquero gli anemoni.

Anemoni, Monet

Secondo una versione diversa, dalle lacrime di Venere per la perdita dell’amato nacquero le fragole, da sempre considerate il frutto dell’amore per il colore, la forma  a cuore e la dolcezza del sapore; forse per questo Otello donò a Desdemona un fazzoletto con delle fragole ricamate e il Re Sole le abbinava alla panna ritenendole afrodisiache.

Natura morta, Fragole, Gianluca Corona

Il rosso è anche simbolo del potere: nella Roma imperiale era riservato all’Imperatore e ai condottieri; nel Medioevo era simbolo di distinzione sociale, in quanto la preparazione era molto costosa: il rosso più bello e luminoso, detto “Chermes” si ricavava dalla femmina di un insetto il “Coccus ilicis”, diffusa in Estremo Oriente, molto difficile da reperire; per questo era riservato ai Signori dell’epoca e simboleggiava il lusso per eccellenza.

In alcune città i tintori dovevano avere una licenza particolare per il rosso e a Venezia quelli che tingevano con il rosso meno pregiato ricavato dalle radici della robbia non potevano utilizzare il rosso “Chermes”.

Tra il XIII e il XIV secolo anche il Papa optò per il rosso, abbandonando parzialmente il bianco: Raffello nel 1511 nel celebre dipinto della “Barba del Papa” ritrasse un ormai anziano Papa Giulio II, mentre nel 1518 fu il turno di Leone X.

Giulio II, Raffaello, Galleria Palatina

Papa Leone X, Raffaello, Galleria degli Uffizi

Entrambi indossano il “Camauro”, il copricapo rosso foderato internamente di ermellino, tipico del Papa e destinato alle udienze private a differenza della  papalina che può essere di vari colori a seconda del grado gerarchico ed è utilizzata durante le cerimonie; anche la “Mozzetta” è rossa, pur cambiando colore e bordatura nel corso dell’anno liturgico, durante il periodo pasquale può essere damascata bianca.

Papa Ratzinger con moffetta periodo pasquale

Papa Ratzinger

Di rosso vestono  i Cardinali, Principi della Chiesa, perché sono pronti a versare il loro sangue per Cristo, mentre le calzature rosse dei Papi simboleggiano che la Cristianità si fonda sul sangue dei martiri.

Il rosso diventò il colore dei “Papisti”, inviso ai Protestanti che ancora oggi lo ritengono un colore immorale.

Nelle occasioni solenni, come l’inaugurazione dell’anno giudiziario, il Primo Presidente e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione indossano la toga di velluto rosso bordata di ermellino, con il  copricapo  di velluto nero anch’esso bordato di ermellino e guanti bianchi, mentre la toga degli altri magistrati delle Corti superiori è anch’essa rossa ma senza bordature. 

Il colore rosso e la bordatura pregiata affondano le loro radici nei simboli del potere dei regnanti, mentre oggi indicano la dignità e i gradi più elevati nella gerarchia della Magistratura.

Nello svolgimento dell’ordinaria attività processuale penale e di fronte alle Sezione Specializzate Agrarie, magistrati e gli avvocati indossano la toga nera con cordoniera d’oro per i magistrati e gli avvocati abilitati al patrocinio nelle Corti Superiori, d’argento per gli altri avvocati

Indossare la toga è sempre un onore: essa rappresenta l’altissima funzione a cui sono chiamati avvocati e magistrati nell’esercizio delle loro funzioni  e come scriveva Calamandrei “La toga, uguale per tutti, riduce chi la indossa ad essere, a difesa del diritto un avvocato: come chi siede al banco è un giudice, senz’aggiunta di nomi o titoli”.

 

 

 

 

 

Per approfondire:

Elogio dei Giudici scritto da un Avvocato”di Pietro Calamandrei, Ed. Ponte alle  Grazie

Le Garzantine Mitologia: “I miti greco-romani raccontati da Pierre Grimal” Garzanti

“Il piccolo libro dei colori” Dominique Simonetta Ed. Ponte alle Grazie