Lo scandalo della Lippina

Gli artisti hanno doti eccezionali: innovatori, virtuosi, visionari, per questo molti di essi sono insofferenti alle regole di una vita ordinaria e, talvolta, diventano protagonisti di scandali che ancora si ricordano.

Intorno al 1456 il fiorentino Fra Filippo Lippi, ormai cinquantenne e Cappellano del Convento di Santa Margherita di Prato, venne incaricato di realizzare una pala raffigurante “La Madonna che dà la cintola a San Tommaso”.

Per dipingere il volto di Santa Margherita, la giovane ritratta sulla sinistra del quadro, Lippi chiese alla Badessa una suora come modella.

L'immagine raffigura la Madonna della Cintola di Lippi

La Madonna della Cintola, Filippo Lippi

La scelta ricadde sulla bellissima Lucrezia Buti, all’epoca appena ventenne. L’artista dal carattere gioviale ed esuberante entrò presto in confidenza con la ragazza, la quale gli rivelò di essere profondamente infelice: era stata costretta a farsi monaca insieme alla sorella a causa della povertà della famiglia d’origine.

Incuranti della grande differenza d’età i due si innamorarono e il Maestro escogitò un finto rapimento che ebbe luogo il giorno delle celebrazioni per l’ostensione della “Sacra  Cintola”, portandola a vivere presso la propria casa insieme alla sorella Spinetta.

Non si poteva certo ipotizzare alcun tipo di reato in capo al Lippi, atteso che mancavano tutti i presupposti del sequestro di persona, non sussistendo alcuna privazione della libertà personale delle ragazze, le quali neppure si opposero al ratto, anzi verosimilmente lo agevolarono.

Al fatto seguirono scandalo e disonore: la famiglia d’origine esercitò grandi pressioni, ma solo Spinetta fece ritorno in convento. Lucrezia rimase a vivere con il Maestro da cui ebbe due figli: Filippino, nato pochi mesi dopo la fuga dal monastero, il quale diventò anch’egli un grande pittore e Alessandra.

L'immagine rappresenta Filipino Lippi

Filippino Lippi

Nonostante la loro relazione fosse profondamente osteggiata dalla Curia, Lucrezia continuò a essere la musa ispiratrice di Filippo Lippi; tra le opere più ammirate ricordiamo la “Madonna col Bambino e Angeli” esposta agli Uffizi: è uno dei rari dipinti interamente autografi del Maestro. L’incantevole profilo, l’elaborata acconciatura con veli e perle, realizzati con estremo virtuosismo, l’azzurro quasi trasparente dello sguardo, possono essere considerati un tributo dell’artista alla straordinaria bellezza della compagna, mentre nell’angelo in basso a destra si riconosce il volto del figlio Filippino.

L'immagine rappresenta la Madonna con Bambino e angeli di Filippo Lippi

Madonna con Bambino e angeli, Filippo Lippi, Galleria degli Uffizi Firenze

Tempo dopo, grazie all’intervento di Cosimo il Vecchio, legato all’artista da una profonda amicizia, la coppia ottenne da Papa Pio II la dispensa dai voti ecclesiastici e la possibilità di sposarsi, regolarizzando la loro convivenza agli occhi della società.

Precursori dei tempi e incuranti delle male lingue, Filippo e Lucrezia rimasero sempre una famiglia di fatto: in proposito, il Vasari nei suoi scritti spiega l’insofferenza del Maestro verso gli obblighi e le convenzioni in genere, tanto più se nascenti dal matrimonio.

L'imLucrezia Buti ritratta come Salomè, Filippo Lippimagine rappresenta

Lucrezia Buti ritratta come Salomè, Filippo Lippi

Non possiamo dimenticare che secoli dopo la bellezza immortale di Lucrezia Buti fece breccia nel cuore di Gabriele D’annunzio, il quale, mentre frequentava il Collegio Cicognini di Prato, venne a conoscenza della storia di Lucrezia e Filippo. Il Vate si recò spesso nel Duomo di Prato per ammirare gli affreschi raffiguranti la giovane donna e come omaggio alla sua immortale bellezza le dedicò il suo unico testo autobiografico “Il secondo amante di Lucrezia Buti”.

Per approfondire:

Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Vasari, Newton Compton Editori 2016

“Lo scandalo e la monaca Lucrezia Buti” di Elisa Marianini

Un legame per la vita… cercando il Diritto Perfetto

“L’anima della madre prima compone nella matrice la figura dell’uomo e, al tempo debito, desta l’anima che di quel debbe essere l’arbitratore” (Leonardo da Vinci)

Il pensiero di Leonardo racchiude l’essenza degli studi ch’egli condusse nel cercare di spiegare la relazione tra la madre e il figlio. Secondo l’artista, sino alla nascita vi sono due esseri in un unico corpo, con un’unica anima, quella della madre mentre l’anima del bambino rimane dormiente sino al momento in cui il piccolo vedrà la luce.

L'immagina raffigura uno dei disegni di Leonardo da Vinci sugli studi anatomici

Leonardo da Vinci – Studi anatomici

Il genio fiorentino, pur essendo stato credente per tutta la vita, non accettava il dogma della Chiesa per il quale l’anima è immortale, trattandosi di puro spirito donato da Dio: inconcepibile per lo scienziato, il quale riteneva che tutto dovesse avere una dimostrazione scientifica.

Per Leonardo l’anima era un soffio vitale collocato forse alla sommità della colonna vertebrale, o in punto non definito del cranio: l’artista intuì come il cervello giochi un ruolo fondamentale nello sviluppo delle idee e delle emozioni degli esseri umani.

Il disegno rappresenta un disegno degli studi anatomici del cranio fatti da Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci – Studi anatomici

Leonardo non aveva dubbi: la madre donava al figlio il soffio vitale.

L’immagine è suggestiva e fortemente evocativa della nascita e, quindi, del momento in cui una persona viene al mondo, diventando soggetto di diritto.
Oggi si afferma che non esiste diritto senza persona e persona senza diritti: ognuno di noi ha una propria personalità giuridica acquisita con la nascita, purché il soggetto sia nato vivo, il che non è un presupposto di scarso rilievo. E’ sufficiente anche un solo istante di vita – inteso come qualsiasi manifestazione di vita propria non necessariamente il pianto – perché il neonato divenga titolare di diritti sia di natura personale, sia di carattere patrimoniale, questi ultimi trasmissibili agli eredi in caso di morte sopravvenuta.

L'immagina raffigura il dipinto Adorazione dei Pastori di Gherardo delle notti, distrutta nella strage dei Georgofili del 1993

Adorazione dei Pastori – Gherardo delle notti, distrutta nella strage dei Georgofili del 1993

Il nuovo nato acquista immediatamente i diritti della personalità, essenziali, fondamentali, innati e originari alla figura dell’uomo: trattasi del diritto alla vita, al nome, all’onore, alla libertà, solo per citarne alcuni tra quelli espressamente richiamati nella Carta Costituzionale.
Nel diritto moderno è sorta l’esigenza di predisporre tutele anche a favore del nascituro: si pensi alle norme sulla fecondazione assistita, al diritto al risarcimento del danno per perdita del genitore in conseguenza di un fatto illecito avvenuto prima della nascita.

L'immagine rappresenta il dipinto la Madonna del Magnificat - Botticelli, Galleria degli Uffizi

Madonna del Magnificat – Botticelli, Galleria degli Uffizi

Vi sono casi in cui la giurisprudenza si è spinta oltre, chiedendosi se nell’ipotesi in cui il medico omettesse di informare la madre della grave malattia genetica del feto, impedendole così di far ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza, oltre al risarcimento alla donna per lesione del diritto di autodeterminazione, debba essere risarcito anche il neonato affetto da una rara malattia. In altre parole: in questi casi esiste un diritto del concepito a nascere sano? La risposta è stata negativa: il bambino nato e affetto da una malattia non avrà diritto a un’autonoma voce di risarcimento in ragione della patologia riscontrata, poiché essa è dipesa da fattori del tutto estranei all’azione o all’omissione umana.

L'immagina raffigura il dipinto la Madonna dei Fusi di Leonardo appartenente a una collezione privata

Madonna dei Fusi – Leonardo da Vinci, Collezione privata

In caso contrario, il rischio è quello di tendere verso posizioni vicine all’eugenetica, preferendo la nascita di soggetti socialmente desiderabili invece di quelli ritenuti non perfetti.
Leonardo certamente non avrà avuto le moderne conoscenze mediche e scientifiche, ma il suo pensiero e la sua mano straordinaria hanno colto l’essenza della maternità, così meravigliosamente rappresentata nella Madonna dei Fusi, la quale con il suo gesto protettivo e lo sguardo rivolto al Bambino è la sublimazione della tenerezza di un amore senza tempo e senza confini.

 

 

Per approfondire:

C. D’Orazio “Il Leonardo Segreto” ed. Pickwick 2015, A. Trabucchi “Istituzioni di diritto Civile”, ed. 2013, G. Alpa e M. Garofoli “Manuale di Diritto Civile” ed. 2013

La Calunnia è un venticello…

“La calunnia è un venticello, un'auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurrar…”: si apre così la celebre aria di Don Basilio nel Barbiere di Rossini, che continua in un crescendo inesorabile che avvolge e travolge la vittima.

La falsa attribuzione avanti all’Autorità di una condotta delittuosa è pratica antica come il mondo e sostanzialmente i connotati di questo odioso reato nel tempo non sono mutati più di tanto.
Ne abbiamo traccia già nel IV secolo a. C.: ne fu vittima Apelle di Efeso, il più noto pittore dell’epoca; il fatto è precisamente narrato dal sofista greco Luciano nel suo trattato “Non bisogna prestar fede alla calunnia “: si racconta come il pittore Antifilo – rivale di Apelle – avesse riferito a re Tolomeo che la rivolta di Tiro sarebbe stata suggerita da Apelle stesso, il quale nel corso di un banchetto avrebbe dato tutte istruzioni del caso a Teodoto governatore della Frigia.
Re Tolomeo, appresa l’accusa di cospirazione in capo al suo artista di punta, al quale aveva concesso innumerevoli benefici, non avviò alcuna istruttoria, né richiese di quali prove l’accusatore potesse disporre: si scagliò contro Apelle, apostrofandolo duramente e condannandolo a morte per decapitazione.
Soltanto un compagno di prigionia dell’artista, colpito dalla sfrontatezza di Antifilo, ebbe pietà di Apelle e testimoniò la verità di fronte al Re Tolomeo, riferendo che il pittore mai si era recato a Tiro: egli era innocente e del tutto estraneo ai fatti contestati.
Il re Tolomeo tornò sui suoi passi e per riparare all’incauto giudizio diede cento talenti ad Apelle, consegnandogli Antifilo come schiavo.
Apelle, a futura memoria, dipinse un quadro nel quale era illustrata la sua vicenda: l’opera fu dettagliatamente descritta da Luciano ed era nota agli artisti del rinascimento.

L'immagine rappresenta la Calunnia del pittore Apelle

F. Zuccari “La calunnia di Apelle” – Disegno

Nel 1494 Botticelli, in una celebre e straordinaria allegoria, rappresentò la calunnia in danno di Apelle, l’opera è oggi custodita alla Galleria degli Uffizi. Gli elementi del reato vi sono tutti: la Calunnia che trascina la vittima davanti al re, porgendogli una fiaccola senza luce, in quanto fonte di una falsa conoscenza.
L’Ignoranza e il Sospetto sussurrano alle orecchie d’asino del Re, così rappresentato come pessimo giudice.
Attrae l’attenzione una cupa figura nera incappucciata: è il Rimorso, o pentimento, che consegue all’accertamento della calunnia, mentre guarda sottecchi la statuaria e luminosa Verità.
Sono presenti anche l’Invidia e la Falsità che ancora oggi giocano un ruolo spesso determinante per la commissione di questo delitto. Tuttavia, l’elemento essenziale e dirimente è rappresentato dalla coscienza e volontà della falsa accusa mossa nei confronti della vittima avanti all’Autorità: il reo deve essere sempre consapevole dell’innocenza del calunniato.

Il particolare disvalore sociale della calunnia è ravvisabile nel fatto che il pentimento e il risarcimento monetario quasi mai elidono il danno provocato alla reputazione. Rimarrà difficile arginare il sospetto sotteso, il velato dileggio e quella chiacchiera che aleggerà ancora: al tempo e all’oblio la soluzione naturale.

Per approfondire:

G. Fiandaca E. Musco “Diritto Penale – parte speciale” Vol. II, tomo primo, I delitti contro la persona, ed. Zanichelli 2010