La storia della Cappella degli Scrovegni, capolavoro patavino frutto della delicatissima e innovativa mano di Giotto, non si discosta molto da tali abitudini: secondo le fonti, Enrico Scrovegni, esponente della nobile famiglia padovana, il 6 febbraio del 1300 acquistò da Manfredo Dalesmanini il terreno su cui – ancora oggi – sono visibili i resti di un’antica arena romana. Sembra che la compravendita sia stata agevolata dalla necessità del venditore di risolvere una difficile situazione finanziaria.

All’epoca gli Scrovegni potevano contare su un ingente patrimonio, frutto della sfrenata attività di usuraio di Reginaldo – padre di Enrico – il quale era odiato e detestato come nessun altro dai concittadini per aver crudelmente tratto ingenti profitti dalle loro difficoltà. Pare che alla sua morte, avvenuta nel 1301, il popolo volesse saccheggiare e dare alle fiamme il palazzo di famiglia, che si trovava dove oggi sorge il Palazzo del Monte di Pietà, vicino al Duomo.
L’odiosa pratica dell’usura ha radici nel tempo immemore ed è stata oggetto di ferme condanne dall’antichità sino ai giorni nostri ma, nonostante questo, risulta essere una piaga quasi impossibile da debellare.

Il Diritto perfetto - Cappella degli Scrovegni

La Cappella degli Scrovegni – Dettaglio


Ora come allora, tale condotta costituisce un crimine punito con severe sanzioni, in ragione della spiccata pericolosità sociale attribuitagli dall’ordinamento: per questo motivo l’originaria formulazione del reato del codice Rocco è stata ampliata, svincolandola dal presupposto dello stato di bisogno della vittima – troppo restrittivo per un’efficace politica criminale – spostandolo sull’ampio piano della difficoltà economica o finanziaria.
Purtroppo le cifre reali dell’usura sono difficilmente accertabili, vista la persistente ritrosia delle vittime a sporgere denuncia, sia per paura di ritorsioni e ricatti della più svariata natura, ma anche per un senso di vergogna connesso al fatto di essere stati costretti a ricorrere a un prestito usurario.
Questo forte elemento psicologico ha indotto il Legislatore a introdurre un Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura, con l’obiettivo di motivare una reazione difensiva che consenta allo Stato la giusta e doverosa repressione di quest’indegno fenomeno.

Il Diritto perfetto - Cappella degli Scrovegni

La Cappella degli Scrovegni – Dettaglio


Per il fermo il disprezzo di tale delitto, Dante mandò lo Scrovegni padre dritto all’inferno, mentre il figlio – quasi se la sentisse – decise di erigere sul terreno dell’arena romana una Cappella, dedicata alla Vergine Annunziata, al fine riscattare l’anima perduta del genitore e nel contempo lavare – in via preventiva – anche la sua.
Durante i lavori di edificazione vibranti proteste furono sollevate dai frati Agostiniani del vicino monastero degli Eremitani, i quali denunciarono la difformità delle opere realizzate rispetto al progetto approvato dal Vescovo. Le doglianze dei religiosi erano fondate, poiché si stava subdolamente edificando una Chiesa – e non una Cappella privata – con tanto di campanile annesso. Questo avrebbe provocato un danno irreparabile per la vicina comunità di frati i quali avrebbero subito la concorrenza di questo nuovo edificio di culto.
Non vi è documentazione certa sull’esito della controversia, ma pare che gli Agostiniani l’abbiano avuta vinta, visto che non c’è traccia del campanile e le dimensioni del fabbricato sono quelle consone a una Cappella privata.
Per le decorazioni Scrovegni convocò Giotto, il pittore più in voga del momento, il quale aveva – tra l’altro – già provveduto ad affrescare Assisi.
L’artista realizzò un capolavoro – completamente restaurato nel 2002 – incentrato sul tema della salvezza e riconciliazione dell’umanità: la nota di modernità introdotta da Giotto fu chiaramente spiegata dal Vasari, il quale osservò come, per la prima volta nella storia della pittura, furono rappresenti gli affetti e le attitudini dell’uomo, la felicità, l’ira, il pianto e anche i colori riproducevano la più vivida realtà.
Un particolare è degno di nota e si colloca nell’ambito dell’antica rivalità tra le città di Padova e Venezia: si racconta che nella realizzazione del Giudizio Universale, che occupa la parete in fondo e conclude il ciclo delle Storie raffiguranti la redenzione umana, Giotto s’ispirò (c’è chi dice che fu molto di più di un’ispirazione) al Giudizio Universale della Chiesa della Santa Maria Assunta al Torcello, uno splendido mosaico di trecento anni prima. Diversi dettagli, quali la posizione del Cristo e il sangue che scorre per divenire fiamma dell’inferno, possono far supporre che l’artista avesse dato un’occhiata al mosaico veneziano, anche se la vera innovazione dell’opera patavina sta nei dannati collocati alla base dell’affresco. Per la prima volta sono rappresenti con dovizia di dettagli, in tutta la loro cruda e truculenta realtà, quasi a voler significare al mondo dei vivi l’eterna e ineluttabile dannazione delle anime perdute.